La c.d. Porcellum
di 18 Settembre 2011 21:09 Letto 3.298 volte0
Considerando che siamo in periodo di raccolta firme per l’abrogazione della legge elettorale vigente e sperando di fare cosa gradita mi permetto di fare un piccolo sunto della legge elettorale vigente per le elezioni nazionali, dal momento che tale legge è stata oggetto della tesi da me elaborata (rectius: relazione finale, intitolata per l’appunto La legge elettorale italiana tra dubbi di incostituzionalità e proposte di modifica) in occasione del conseguimento della laurea triennale in Scienze Politiche. Si sta parlando della legge 21 dicembre 2005, n. 270, denominata anche “porcellum”.
Già, perché il 15 marzo del 2006, l’allora ministro Roberto Calderoli, durante un’intervista a Matrix, rivendicò la paternità della legge e la definì letteralmente una “porcata”.
Dagli anni ’90 vi è in Italia una particolare consuetudine, iniziata da Giovanni Sartori. Il politologo, trattando del sistema elettorale introdotto nel 1993 in un articolo sul Corriere della Sera, utilizzò il neologismo Mattarellum, termine che fece derivare dal nome del primo firmatario di quella legge elettorale, ovvero Sergio Mattarella. Così si utilizza il termine Tatarellum per indicare il sistema elettorale in vigore nelle Regioni ordinarie, termine questo derivante da Giuseppe Tatarella. E così si utilizza sovente il termine “Porcellum” per riferirsi all’attuale legge elettorale.
- Caratteristiche generali della legge 21 dicembre 2005, n. 270
Si è passati da un sistema misto ad un altro sistema misto. La legge 4 agosto 1993 n. 277 introdusse un sistema per ¾ maggioritario e per 1/4 proporzionale. La legge 270/2005 prevede invece un sistema proporzionale corretto da un premio di maggioranza eventuale e da sei clausole di sbarramento.
Un sistema proporzionale è un sistema che si basa su collegi plurinominali (il numero delle circoscrizioni elettorali è inferiore al numero dei seggi da assegnare e in ogni collegio vengono eletti più candidati) e in cui la ripartizione dei seggi tra i diversi partiti politici avviene in proporzione ai voti ottenuti da ciascuna lista di candidati, con eventuali arrotondamenti.
Il premio di maggioranza previsto dalla legge in esame è formulato in negativo e scatta solo se nessuna lista o coalizione riesca ad ottenere più di 340 seggi alla Camera ovvero più del 55% dei seggi assegnati alla circoscrizione per quanto riguarda il Senato.
Come detto sono previste anche sei soglie di sbarramento, le quali sono calcolate su base nazionale alla Camera e su base regionale al Senato. Esse differiscono a seconda che al riparto dei seggi sia ammessa una coalizione, una lista collegata alla coalizione, una lista non collegata o una lista rappresentativa di una minoranza linguistica. I partiti o i gruppi politici hanno infatti la facoltà, ma non l’obbligo, di unirsi tra loro in una coalizione.
Aspetto importante, le liste sono bloccate, ovverosia l’elettore non può esprimere alcuna preferenza ma è tenuto a porre un segno sul solo simbolo identificante il partito o la coalizione. Il riparto dei seggi è quindi effettuato con metodo proporzionale, attraverso il calcolo dei quozienti naturali interi e dei più alti resti.
La legge non prevede alcun divieto di candidatura plurima. L’unico impedimento in tal senso riguarda la contemporanea candidatura alle due Camere, pena la nullità dell’elezione.
- Il sistema di elezione della Camera dei Deputati
Per l’elezione dei deputati di Montecitorio il territorio italiano viene diviso in 26 circoscrizioni, alcune delle quali (13) corrispondono ai confini regionali, nelle quali si vota per 617 deputati. Per quanto riguarda i restanti seggi, 12 sono ricavati dalla Circoscrizione Estero (6 Europa, 3 America del Sud , 2 America centrale e settentrionale, 1 attinto tra Africa, Asia, Oceania e Antartide con un sistema elettorale proporzionale ex l. 27 dicembre 2001 n. 459) e 1 dalla Valle d’Aosta (con sistema maggioritario a turno unico, ex art. 47 Statuto speciale, l. cost. n. 4/1948).
Le coalizioni sono ammesse al riparto dei seggi se riescono a conseguire almeno il 10% dei voti validi su base nazionale. Devono però essere formate da almeno una lista che non abbia ottenuto meno del 2% dei voti validi su base nazionale o da una lista collegata la quale sia rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute e che abbia conseguito almeno il 20% nella propria circoscrizione. Tra le liste che risultano così escluse dal riparto dei seggi accede comunque al riparto anche la lista che, tra quelle che hanno conseguito meno del 2% dei voti, risulta essere la più votata.
Le liste che hanno conseguito almeno il 4% dei voti validi sul piano nazionale accedono comunque al riparto dei seggi ancorché la propria coalizione non riesca a soddisfare i requisiti prima detti.
Anche le liste non collegate devono raggiungere almeno il 4% a livello nazionale per poter avere propri rappresentanti in Parlamento.
Le liste rappresentative di minoranze linguistiche sono comunque ammesse al riparto dei seggi se ottengono almeno il 20% dei voti nella circoscrizione di una regione il cui statuto speciale le riconosce, indipendentemente dal fatto che esse siano coalizzate oppure no
- Il sistema di elezione del Senato della Repubblica
Durante il dibattito parlamentare l’opposizione sollevò seri dubbi riguardo ad una possibile incostituzionalità del premio di maggioranza calcolato su base nazionale anche al Senato. Ciò secondo l’art. 57 della Costituzione, secondo il quale il Senato “è eletto su base regionale”. La Cdl inserì allora ipremi di maggioranza a formato regionale o, per usare i termini del legislatore, i premi di coalizione regionali. Il premio non si applica però in Molise, a cui sono assegnati soli due seggi. Il sistema non si applica neppure nella Valle d’Aosta e nel Trentino-Alto Adige. Nella prima Regione viene costituito un unico collegio uninominale e vige quindi un sistema maggioritario. Il Trentino-Alto Adige, invece, viene suddiviso in sei collegi uninominali, regolati anch’essi da un sistema maggioritario. La restante quota dei seggi spettanti alla Regione (attualmente una) è attribuita con il metodo del recupero proporzionale, tra i gruppi dei candidati non risultanti eletti nei rispettivi collegi uninominali.
Escludendo anche i seggi assegnati alla circoscrizione Estero (6), i seggi residui sono ripartiti tra le Regioni tenendo conto dei risultati dell’ultimo censimento generale della popolazione, effettuato dall’Istat nel 2001.
Si va dai 47 seggi assegnati alla Lombardia ai 7 attribuiti alla Basilicata, all’Abruzzo, all’Umbria e al Friuli Venezia Giulia. Ogni Regione deve, ex articolo 57 Cost., eleggere un minimo di 7 senatori, fatte salve le eccezioni viste poc’anzi (Valle d’Aosta, Molise, Trentino-Alto Adige).
Per quanto riguarda le soglie di sbarramento, esse son più alte di quelle previste per la Camera dei Deputati. In particolare sono ammesse al riparto dei seggi le coalizioni di liste che riescono a raggiungere almeno il 20% dei voti in ambito regionale. Esse devono però contenere almeno una lista collegata la quale abbia conseguito un risultato non inferiore del 3% dei voti validi espressi. Le singole liste non collegate devono invece rispettare la soglia dell’8%. Se una lista consegue almeno l’8% dei voti validi espressi in ambito regionale, ed è collegata ad una coalizione, la quale non è riuscita però a superare la percentuale del 10%, è comunque ammessa al riparto dei seggi.
- Dubbi di legittimità costituzionale e critiche nel merito
CONCLUSIONI
Riassumendo, si tratta di un sistema elettorale proporzionale corretto, da un premio di maggioranza e da sei clausole di sbarramento, i cui elementi principali sono: le liste bloccate, l’indicazione del capo della coalizione, il deposito del programma di governo.
Nel 2006 la legge elettorale ha prodotto un risultato catastrofico in termini di governabilità, ma due anni dopo si è rivelata efficace nel consentire alla coalizione vittoriosa un’ampia maggioranza in entrambe le Camere. Nella parte relativa ai dubbi e alle critiche alla legge elettorale, tuttavia, ho presentato vari lati negativi sottolineati da giuristi e non. Il dubbio di costituzionalità di talune sue disposizioni è l’aspetto che dovrebbe maggiormente preoccupare.
Come dovrebbe essere una legge elettorale ottimale? C’è chi dice che una riforma elettorale dovrebbe essere risolutiva o comunque in grado di reggere la prova tempo. Per poter essere tale essa dovrebbe essere una riforma condivisa dal punto di vista politico e competente dal punto di vista tecnico. Dovrebbe consolidare e rafforzare la democrazia dell’alternanza e quindi preservare un certo bipolarismo. Dovrebbe inoltre consentire agli elettori di sapere, al momento del voto, l’esatta personache andrà a rappresentarlo, che deciderà il nostro futuro. Dovrebbe poi garantire la governabilitàovvero far disporre al Governo di una maggioranza stabile. Dovrebbe fare in modo di poter avere un rapporto diretto con l’eletto, in modo che il suo operato possa essere valutato dagli elettori. Magari dovrebbe essere accompagnata da una riforma costituzionale che magari prevedesse la riduzione del numero dei parlamentari. Ma non è la quantità che conta, è la qualità. Ed il singolo parlamentare dovrebbe essere scelto da noi elettori, non dai partiti. La responsabilità politica è quella che manca. Dovrebbe essere una riforma non fatta “a colpi di maggioranza” ma creata attraverso la partecipazione di tutti o comunque della maggior parte delle forze politiche esistenti. Non dovrebbe essere una riforma voluta per escludere nessuno. E, aspetto ancora più importante, dovrebbe garantire a tutti noi elettori un’adeguata rappresentanza. Ma, realisticamente parlando, oltre a plasmare la configurazione del sistema di partiti e il circuito Parlamento-Governo, la legge elettorale decide sopravvivenza e carriera di chi ne discute. Ciò contribuisce a ridurre al presente l’orizzonte temporale di una classe politica già poco incline alla lungimiranza e sottrae risorse di tempo e attenzione ai temi più urgenti dell’agenda politica.
Chissà se si riuscirà a fare tutto ciò. O se prevarranno gli interessi di parte, la volontà di esclusione di taluni. L’ideale sarebbe che chi decida sulla legge elettorale si trovi improvvisamente nella situazione ipotizzata da John Rawls, si trovi di fronte un “velo d’ignoranza”, non sappia cioè quale posto andrà ad occupare nella società in futuro, quanta percentuale di voti valga il suo partito, quanto consenso riuscirà a ottenere. Una situazione in cui gli attori che sono chiamati a decidere si muovano secondo principi di giustizia e, non avendo certezze sul loro futuro, optino per una scelta che non svantaggi i più sfortunati, una scelta equa.
Ma sarebbe bello che ciò accadesse anche per qualsiasi altra legge.