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Don Pes su L’Unione Sarda: “giusto che la Chiesa paghi l’ICI”

di admin Letto 3.723 volte0

DIETRO LE QUINTE. Il parroco di Serramanna controcorrente sull’imposta comunale

Giusto che la Chiesa paghi l’Ici

Don Pes: l’ho sempre fatto per i terreni della parrocchia

di Paolo Paolini (L’Unione Sarda del 28/01/2012)

SERRAMANNA Il sentiero del buon contribuente è lastricato di tentazioni. Don Giuseppe Pes non ha mai ceduto: «Ho sempre pagato l’Ici per le proprietà non destinate al culto».

Il parroco di San Leonardo è andato oltre la timida apertura del cardinal Bertone («Il problema dell’Ici è particolare: da studiare e da approfondire») semplicemente per una questione di giustizia sociale. Sessantotto anni e quarantatré di sacerdozio, da anni fa convivere crocifisso e Ici senza particolari turbamenti: «Un sito internet ha pubblicato commenti falsi su un argomento di stretta attualità come il pagamento dell’imposta comunale sugli immobili da parte della Chiesa. Sarà pur vero che qualcuno tralascia, ma io no. E l’ho fatto presente».

Per quali proprietà?

«Un terreno acquistato quarant’anni fa per costruire la città dei ragazzi. Lì vorremmo far nascere il nuovo oratorio. È un’area edificabile, pago 720 euro».

Qualcuno le ha suggerito di soprassedere?

«No, e se me l’avessero consigliato li avrei mandati a farsi benedire. Non voglio fare il prete, voglio esserlo, comportarmi come tale. Se evado una tassa non sono furbo: frodo il resto della comunità. Se la Chiesa è proprietaria di un esercizio commerciale dal quale ricava un utile è giusto che paghi».

Cosa ne pensano gli altri sacerdoti?

«Tutti d’accordo i tredici parroci con cui sono a stretto contatto».

E l’arcivescovo Mani?

«Non abbiamo avuto l’occasione di parlarne».

Messe sempre meno frequentate: di chi è la colpa?

«Tra gli anta non c’è la diminuzione che invece riscontriamo tra i ragazzi. Forse anche tra i sacerdoti talvolta manca quell’intuizione che porterebbe a far recepire meglio il messaggio. Quando Madre Teresa parlò ai giovani a San Siro migliaia di loro l’applaudirono, magari se lo stesso discorso l’avesse fatto un altro l’avrebbero fischiato. Aveva un’autorevolezza tale da spingerli ad ascoltarla. Se tutti noi avessimo un certo carisma la fuga dalla Chiesa, se non del tutto bloccata, sarebbe perlomeno arginata».

Niente comunione ai separati: condivide?

«È vietata a quelli che dopo la separazione si sono rifatti una famiglia. Penso che sarebbe utile distinguere il peccato dal peccatore. Se una situazione è stata subìta, per esempio, sono favorevole a dare la comunione. Se però i nostri superiori ci danno un’indicazione, non possiamo ignorarla».

A Berlusconi è stato consentito ciò che viene negato a migliaia di persone?

«In base al diritto canonico Berlusconi poteva ricevere la comunione perché era separato anche dalla seconda moglie. Era opportuno? No, almeno secondo me».

La Chiesa è politicamente militante?

«Obiettivamente non lo so. Ho iniziato dopo il Concilio Vaticano II come vice in una parrocchia che era la sezione della Democrazia cristiana, come quasi tutte le altre. Quando mi hanno chiesto di allinearmi a questa mentalità ho detto no grazie. Non sono il prete dei verdi, oppure dei rossi o gialli. Sono il sacerdote di tutti e voglio restarlo. Sono stato compagno di banco dell’onorevole Luigi Cogodi e una volta ci siamo incontrati durante un dibattito. Si è avvicinato per salutarmi e la sala si è spaccata: i suoi amici sostenevano che si stesse per convertire, io sono stato accusato di essere comunista».

C’è una distanza tra i vertici della Chiesa e la base?

«Credo di sì. La stragrande maggioranza dei sacerdoti fa il proprio dovere, però la scollatura è evidente. Penso che i cambiamenti siano arrivati e arriveranno dalla base, anche senza gesti eclatanti. Faccio un esempio: condivido la sostanza della protesta di don Mario Cugusi dopo il trasferimento dalla Marina a Quartu, non il modo in cui l’ha portata avanti».

Quante volte ha indirizzato i voti dei fedeli?

«Mai. Rispondo che non è il mio ruolo dare quel tipo di indicazioni».

Avrebbe celebrato il funerale di Welby nonostante avesse scelto l’eutanasia?

«Se mi fossi lasciato condizionare dalle notizie apprese da giornali e tivù, avrei detto no. Molto spesso i media non dicono la verità, ma una verità. Però conoscendo le vere motivazioni forse avrei celebrato il funerale. Welby può essere assimilato a un suicida, e allora perché a tanti altri nelle sue condizioni viene accordato un regolare funerale? Quando morì Armandino Corona, notoriamente massone, perché gli fu garantito un funerale cristiano? Evidentemente lo si poteva fare».

Il celibato è un istituto medievale fuori dal tempo?

«No. Secondo me mantiene intatto il suo valore. La crisi delle vocazioni non è legata a questo. E neppure i casi di pedofilia. Quando è stato inaugurato il seminario di Cagliari eravamo 360 ragazzi: c’era la quantità e la qualità. Oggi manca la prima, e si cerca di sopperire abbassando la seconda».

Quant’è facile cadere in tentazione?

«Molto. Se sei serio con te stesso, devi rispettare le scelte che hai fatto».

Quanti hanno una compagna o un compagno nell’ombra?

«So che ci sono, non so quanti siano».

I preti pedofili sono eccezioni?

«Basandomi su ciò che conosco, posso dire che sono casi sporadici».

ppaolini@unionesarda.it

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