Vivere (bene) senza denaro. La moneta a chilometro zero
di 21 Gennaio 2012 12:42 Letto 5.558 volte4
Soldi virtuali per acquistare beni e servizi. Dal Sardex al Dropis: ecco i soldi che non tintinnano. Si allarga il fenomeno dei sistemi di pagamento “virtuale”, una sorta di convenzione bancaria per scambiarsi beni e servizi. L’euro non scompare: serve per pagare Iva, imposte e contributi. E l’evasione fiscale è impossibile
Se pensate che qui, in Italia, non si possa vivere senza l’euro, andate in Sardegna. E provate a dire in giro che voi pagate in Sardex. Cosa? A parte benzina, farmaci ed energia elettrica, potrete comprare tutto, sia beni che servizi. E quindi alberghi, dentisti, falegnami, elettricisti, meccanici, consulenti di marketing, sale congressi, corsi di lingua inglese, pubblicità sui giornali locali, vestiti, mobili, ristoranti e persino la connessione Internet. Oltre al cibo, vino e carni, tutto rigorosamente sardo, come il resto. Il Sardex è la “moneta a chilometro zero”. Solo che non è una moneta, nel senso che fisicamente non esiste, non ne hanno stampato nemmeno una banconota: esiste solo su Internet.
E quindi potremmo dire che tutti i Sardex in circolazione – oltre un milione, ma il dato cresce ogni giorno – stanno su un server, un computer in un piccolo comune agricolo tra Cagliari e Oristano: Serramanna. Qui, in un bel casolare, l’hanno inventato quattro ragazzi, sardi naturalmente, non solo di nascita, ma di cultura. Fieri della loro terra. Quattro ragazzi che si erano stufati di sentirsi dire che i sardi sono “pochi, matti e divisi” come al tempo degli aragonesi; o che se un sardo deve chiedere qualcosa a dio sapendo che un suo vicino avrà il doppio, il sardo dirà: dio, cavami un occhio. Luoghi comuni. Il Sardex lo sta già dimostrando.
Perché si basa su due principi di vita: il primo è che se il tuo vicino guadagna, stai meglio anche tu; e il secondo afferma che nessuno se ne va col bottino e nessuno resta solo. Sembra il nuovo vangelo. Ma uno di quelli apocrifi, come vedremo.
Questa parabola inizia nel 2006: Carlo Mancosu, Piero Sanna, Giuseppe e Gabriele Littera sono in giro per l’Europa e la sera si sentono su Skype. Non hanno studiato economia ma sono affascinati dal tema delle monete complementari, le alternative currencies. Nel mondo ce ne sono centinaia, spinte dal web e dalla fiducia reciproca invece che da una imposizione legale. Secondo il Wall Street Journal, con la crisi di dollaro ed euro, rappresentano un possibile futuro dell’economia. Alcune sono molto controverse, al limite della legalità, come i Liberty Dollars o i Bitcoin; altre stanno avendo un buon successo come il Res belga o la sterlina ecologica di Brixton.
In Italia il fenomeno non è nuovo, racconta Pierluigi Paoletti, 52 anni, ex consulente finanziario dall’aria mite che oggi guida un piccolo movimento che sostiene da tempo cose non molto diverse da quelle di Occupy Wall Street. Per esempio: “La moneta è solo un sistema di sopraffazione che serve a fare i ricchi più ricchi”. Torniamo alla storia. “Il primo esperimento italiano – ricorda Paoletti – risale al luglio del 2000 quando il giurista Domenico Auriti, che si batteva contro l’usura, emise il Simec nel suo piccolo comune natale di Guardiagrele, in Abruzzo; decise che valeva il doppio delle lire, i pensionati si entusiasmarono per questa improvvisa iniezione di liquidità ma la guardia di finanza ne decretò bruscamente la fine. Tre anni dopo in Calabria il presidente del parco dell’Aspromonte Tonino Perna fece stampare alla Zecca dello Stato l’Ecoaspromonte: era bellissimo, troppo forse ed ebbe breve vita”. Arriviamo così al 2007 a Napoli: l’associazione Masaniello, che si ispirava alle cose che Paoletti scriveva in rete sul suo blog centrofondi. it stampa gli Scec, “lo sconto che cammina”. Spiega Paoletti, che oggi guida l’arcipelago Scec fatto di 10 mila associati con duemila imprese: “Formalmente e fiscalmente è uno sconto. In realtà è un dono che tu fai a un altro membro della comunità affinché lui spenda i suoi soldi lì”.
I modelli sono tanti, quindi. Ma nell’estate del 2006 i quattro ragazzi sardi si entusiasmano per l’antica vicenda del Wir, una moneta creata in Svizzera da 16 imprenditori per superare la crisi del ’29: oggi rappresenta una rete di 80 mila aziende locali. La Sardegna potrebbe fare lo stesso, pensano. E nel luglio del 2009 varano il Sardex: per semplicità decidono che un Sardex varrà un euro ma spiegare la moneta senza moneta non è affatto semplice. Ci vogliono nove mesi a mettere a segno la prima transazione: da allora è un crescendo continuo, 420 aziende affiliate e un totale delle transazioni quadruplicato in un anno.
Come funziona una moneta che non c’è? “Come una camera di compensazione di crediti e debiti“, spiegano. Quando un’azienda entra nel circuito le vengono assegnati dei Sardex: “È un fido bancario ma senza interessi”. L’assenza di interessi è un punto fondamentale: non si fa denaro con il denaro, i soldi servono solo a scambiarsi beni e servizi. Questa apparente eresia si chiama finanza etica. E quindi i Sardex assegnati a chi aderisce rappresentano l’importo di beni e servizi che ciascuno è disposto a vendere e a comprare nel network. Entro dodici mesi, quella posizione va pareggiata: se una azienda è in difficoltà si muovono tutte le altre e se proprio è impossibile tornare in pareggio – ma non è ancora mai accaduto – la posizione viene saldata in euro. È questo intervento umano che fa dire al loro presidente Gabriele Littera, 26 anni, che “non abbiamo dietro un algoritmo, ma relazioni, cioé i nostri broker, che cercano di far combinare affari aiutando chi è più debole. La tecnologia è un ausilio”.
L’euro però non scompare: e non solo perché ogni azienda decide di usare i Sardex per smaltire le possibili giacenze di magazzino, i probabili tavoli vuoti al ristorante, le ore inoperose di un artigiano. Ma perché in euro si pagano l’Iva, le altre imposte, i contributi previdenziali. E questo rende il business legale oltre che trasparente (l’evasione nel mondo dei Sardex è impossibile essendo tutto tracciato in tempo reale).
I veri vantaggi sono altri, però. “La ricchezza resta sul territorio e vengono valorizzati i prodotti locali”. E con la crisi in corso non è poco. Per questo il Sardex va. Renato Soru, l’inventore di Tiscali, ne è un sostenitore entusiasta e prevede una espansione in tutta Italia: in Sicilia sta partendo un network gemello che si chiama Sicanex; a Torino in consiglio comunale il Popolo della libertà e i grillini concordano sulle necessità di creare il Taurino; e a Nantes, in Francia, due italiani sono al lavoro per creare il Bonùs.
Qualcosa sta cambiando insomma. E molto. Lo scorso 8 dicembre Giuseppe Littera si è messo la coppola ed è andato alla City di Londra dove è stato invitato a svelare l’arcano sardo a una platea di investitori internazionali; nel frattempo i dirigenti della Banca Centrale dell’Ecuador sono stati qualche giorno a Serramanna per imparare. E finalmente sono arrivati i soldi (in euro) di un venture capital per sviluppare il progetto con obiettivo stratosferico: in dieci anni transare il 10% dell’economia sarda, due miliardi e rotti di euro.
Ci riusciranno? Dipende da come andrà il passaggio da moneta fra aziende (com’è adesso) a moneta per consumatori, previsto in primavera. Prima però è previsto un lancio atteso con molta curiosità in questo mondo: quello del Dropis. Un sistema con il quale ciascuno diventerà banca centrale di se stesso. Lo stanno realizzando due giovani italiani, Sebastiano Scrofina e Dario Perna che stanno scrivendo righe su righe di codice per realizzare una moneta peer-to-peer senza confini: “Sarà lo Skype dello banche”, sogna Scrofina, forte del recente sostegno di due investitori storici del mondo internet italiano. Il Dropis funzionerà così: chiunque voglia vendere qualcosa in rete, si assegna via Internet dei Dropis pari al prezzo che vuole incassare. “I Dropis sono baratti di promesse” spiega Scrofina. Che valore hanno? “Quello che uno gli vorrà riconoscere. Quei soldi sono garantiti dai beni o servizi disponibili e sono subito spendibili in rete per chi li vuole accettare. È troppo poco? Con la crisi di liquidità che c’è in giro, è moltissimo”. Comunque vada a finire, l’impressione è che la guerra all’euro sia appena iniziata.
Riccardo Luna – La Repubblica del 19/01/2012

A Serramanna via Fac 23 Gennaio 2012 alle 11:48
Nuova Sardegna, 21 gennaio 2012:
Una moneta virtuale per acquisti reali: così Sardex sfida la crisi
di Silvia Sanna
Dietro c'è la crisi, davanti c'è la volontà di riuscire non soltanto a tenersi a galla, ma anche di prendersi una rivincita nei confronti di un mercato ingrato. Nasce e cresce così il Sardex, la moneta virtuale al centro di un baratto moderno ideato da quattro ragazzi di Serramanna e sposato (per ora) da quattrocento aziende. In primavera l'ingresso dei privati nel circuito: quello sarà il vero business.
Non si può toccare, perché è presente solo sul web. È qui che avvengono gli scambi tra gli associati: vendite e acquisti di beni e di servizi con il sardex, ognuno dei quali vale un euro. Ma a differenza della moneta corrente, è immune dagli interessi e i possessori non sognano di metterne insieme un capitale. Al contrario: il sardex è fluido, nasce per circolare e portare ossigeno a conti in banca – questi sì, in euro – con il segno rosso.
Come funziona. Qualche esempio. C'è l'autofficina che ha bisogno di promuovere la sua immagine. Per questo si rivolge allo studio che progetta siti web. Per pagare il lavoro svolto, utilizza un tot di sardex. Lo studio grafico, con il suo malloppo di sardex, bussa al negozio di informatica e fa scorta di materiale per i pc. Il negozio, invece, potrà spendere i sardex ricevuti per rinnovare la cancelleria oppure per pagare la pulizia del negozio all'apposita cooperativa che offre quel servizio. Che, a sua volta, potrà acquistare scope, secchi e affini. Oppure concedersi quella cena in ristorante rimandata chissà da quanto tempo a causa della crisi e conomica. Con i sardex, insomma, si possono risparmiare gli euro che servono per altri scopi: per pagare l'affitto, la rata del mutuo o le bollette.
Gli ideatori. Gabriele Littera, 27 anni, di Serramanna, laureato in marketing a Teramo, ha parlantina sciolta e cervello fino. Insieme al fratello Giuseppe, Carlo Mancosu e Franco Contu, ha creato un mercato parallelo basato su un principio nobilissimo: la finanza etica. Perché nessuno, all'interno del circuito sardex.net, punta a guadagnare alle spalle degli altri. Non c'è lucro: c'è solo una rete di assistenza, promozione e sostegno reciproco. L'equilibrio è fondamentale, per questo quando un associato non riesce a saldare il conto, gli altri si muovono per aiutarlo. Fondamentale anche il supporto del broker, a disposizione delle aziende. E se non si riesce a colmare il passivo? A quel punto il debito viene saldato in euro. Ma non accade quasi mai. Dice Gabriele, presidente del cda: «Siamo partiti agli inizi del 2009, ora contiamo 400 associati distribuiti in tutta l'isola e transazioni, nel 2011, per oltre 1 milione di sardex. L'idea piace, le aziende ne colgono le grandi opportunità. E sono consapevoli che dall'ingresso dei privati potranno trarre enormi vantaggi».
Gli associati. C'è un po' di tutto, dal negozio di frutta e verdura all'impresa edile. Molti i commercianti, sia al dettaglio sia all'ingrosso, gli artigiani, le aziende d'informatica e le strutture ricettive: dagli hotel a quattro stelle agli agriturismo. Requisito fondamentale è essere una piccola-media impresa e operare in Sardegna. Gli esclusi: per una questione etica, non possono aderire al circuito né le finanziarie, né le rivendite di armi.
Sardex per i privati. La grande novità è annunciata per la primavera: anche i privati potranno entrare nel circuito Sardex. Mentre le aziende pagano una quota d'iscrizione, i privati dovranno fare un acquisto (in euro). Un esempio. Sara compra un frigofero nel negozio associato. Lo paga 300 euro e invece dello sconto riceve dal rivenditore un tot di sardex da spendere all'interno del circuito. Sara potrebbe utilizzarli per fare shopping nel negozio di abbigliamento, oppure per pagare la stanza nel bed&breakfast a due passi dal mare. Per le due attività una ghiotta occasione di promozione che, questo è l'obiettivo, porterà nuovi clienti: con le tasche piene di sardex ma anche di euro.
A Serramanna via Fac 23 Gennaio 2012 alle 11:50
Sardegna 24, 22 gennaio 2012:
La Wall Street sarda made in Serramanna
Stralcio dell'articolo: il cuore della Wall Street sarda è al primo piano di una tipica casa Campidanese, a Serramanna, dove opera una società che gestisce una rete di imprese locali che comprano e vendono senza utilizzare Euro. La moneta scambiata nelle transazioni è il Sardex. Non palpabile come una banconota: è una sorta di documento digitale – che viene trasferito attraverso il web – con il quale si può comprare tutto, i beni come i servizi. Non rientrano nelle transazioni solo benzina, farmaci, elettricità e (per scelta) le armi.
Funziona così: ogni unità di conto vale 1 euro. Quando un’azienda entra nel circuito, mette a disposizione un plafond di beni o servizi. A fronte di questo gli viene assegnato un massimale di spesa (simile a un fido di cassa) prima ancora di aver effettuato uan vendita. Effettuato l’acquisto l’azienda ha 12 mesi di tempo per ripagare vendendo nel circuito i propri beni o servizi. Nel contempo il venditore potrà utilizzare i crediti derivanti dalle vendite per le proprie spese. La trasparenza dei conti è massima: le aziende affiliate pagano le tasse e ogni transazione ha tracciabilità on-line.
A Serramanna via Fac 23 Gennaio 2012 alle 11:50
Sardegna 24, 21 gennaio 2012:
Sardex, un sogno concreto
Quando si vuole superare un ostacolo, facciamo finta sia un muro, potremmo essere portati a pensare che la soluzione più facile sia semplicemente quella di abbatterlo. Così facendo però ci ritroveremmo circondati dalle macerie e non avremmo la possibilità di andare oltre, sommersi dai nostri rimorsi per aver sprecato tante energie e l’occasione di cambiare veramente le cose. Serve capire che se abbiamo incontrato un muro in mezzo ad una strada, forse il problema è la strada che abbiamo scelto e, forse, la soluzione sta nel sceglierne un’altra: finché si è ancora in tempo. Quello che conta è la reazione che diamo ad un particolare stimolo più che lo stimolo in sè.
E se la crisi fosse un’opportunità di epocale cambiamento che ci è stata concessa? Magari per porre fine al delirio consumista e al depauperamento delle risorse del pianeta? Quando abbiamo fondato Sardex due anni fa, abbiamo voluto dare una possibile soluzione a portata di tutte le aziende sarde per superare e ovviare al problema della sempre più scarsa liquidità. Una storia dove la fiducia e il credito senza interesse tra imprese avrebbero dato la possibilità agli imprenditori di cooperare tra loro scambiando beni e servizi senza euro ma con la moneta della fiducia. Avevamo nell’animo l’intento di contribuire a costruire un nuovo modello economico più equo dove nessuno scappa col bottino e nessuno deve uscire né vinto né vincitore. Perché il risultato migliore, un concetto che sta alla base della nostra esperienza, è quello che si ottiene quando si ricerca il bene per se stessi e per il gruppo.
Quando sono tornato in Sardegna sette anni fa, dopo aver sentito un altro e più illustre visionario dire che c’era bisogno di tutti per “costruire un nuovo pensiero sardo” e dopo aver lasciato il mio lavoro di consulente strapagato per la GDO, l’ho fatto perché sentivo la necessità di dare una mano alla mia terra in modo più etico, consapevole e realmente efficace. Perché nessuno verrà a salvarci da questo sistema marcio, perché il sistema siamo noi, e solo noi possiamo migliorare i nostri destini. Ecco la strada, ecco la scelta: subire e annichilirci, sfogando rabbia infinita oppure avere la forza di resistere impiegando le nostre energie per costruire qualcosa di nuovo e più sano. Abbiamo la terra e l’amore per difenderla, nessuno morirà di fame.
Non facciamoci intimorire dalle nostre stesse paure, mettiamoci insieme e passiamo all’azione prendendo il buono che c’è negli esempi virtuosi presenti nel mondo. Potranno sembrare concetti banali, ma non c’è nulla di banale nel creare nuove opportunità per migliorare se stessi e gli altri, di banale c’è solononsaperle cogliere. Proviamo a immaginarci percorsi nuovi e, passo dopo passo, impariamo a camminare uno di fianco all’altro. Diamo spazio ai giovani, gli unici Bot su cui investire, con la giusta e sana incoscienza, per cambiare le cose. Questa è la vera rivoluzione, la follia di immaginarci un mondo migliore e lottare per come realizzarlo, non l’inutilità di ripetere sempre lo stesso gesto, aspettandosi un risultato diverso. (Franco Contu)
Antonio Dessì 6 Febbraio 2012 alle 18:20
In un momento come l'attuale, in cui le banche hanno bruscamente frenato sulla disponibilità monetaria concessa alle imprese e di conseguenza limitando gli scambi commerciali, la soluzione prospettata apparrebbe molto utile per riavviare il circuito economico locale.
Purtroppo non leggo negli articoli esposti informazioni dettagliate sul meccanismo funzionale dello strumento adottato e in particolare non colgo quali siano gli elementi di garanzia ispiratori di una forte fiducia da parte degli utenti consumatori.
E' vero che la nostra banconota ufficiale (Euro) è un semplice foglio di carta, dove dietro non c'è altro che la sigla BCE e nessun controvalore fatto di beni reali, ma noi Italiani, così come molti altri Europei, ci siamo fidati della semplice garanzia offerta dagli Stati che la rappresentano e supinamente subiamo il loro signoraggio costante. Immagginate cosa succederebbe se tutti richiedessimo istantaneamente la conversione dei nostri depositi in oro, alla quotazione attuale sul mercato mondiale.
Scopriremo subito che il tesoro della BCE e di tutte le banche collegate non esiste e che le loro pretese nei nostri confronti non son altro che imposizioni ingiustificate. Ma soprattutto scopriremo che i valori che si sono attribuiti e spartiti con l'emissione di tanta valuta, se li sono già mangiati loro.
La ricchezza economica di un individuo o di un Popolo è costituita dai suoi beni e dalle sue capacità produttive o fattori di produzione e solo questi elementi possono essere rappresentativi di una capacità di debito/credito verso i terzi.
Il miracolo economico Italiano del dopoguerra ebbe un grande protagonista e motore dell'intero processo, la cambiale. L'enorme massa valutaria che fu generata dall'emissione generalizzata di tali titoli di debito/credito, fu il volano dell'intera economia Italiana.
Questo strumento poggiava la sua ratio e validità non sull'imperio del sistema bancario, ma sulla fiducia personale delle Imprese verso le altre Imprese e verso i Cittadini. Alle banche era concesso il solo compito, remunerato, di garantirne la circolazione. Lo hanno di fatto distrutto loro! Perchè?
Perchè rappresentava un mezzo attraverso il quale le Imprese creavano valore monetario autonomo. Alle banche non bastava guadagnare un semplice compenso sulle transazioni che gli erano affidate, anche perchè molto del portafoglio effetti veniva gestito direttamente dalle Imprese, dato che in pochi anni sono riuscite ad impossessarsi dell'intero sistema monetario statale che gli permetteva di emettere liberamente valuta sino a dieci volte il proprio capitale.
Questo capitale creato dal nulla doveva essere impiegato perchè acquistasse valore e quindi prestarlo alle stesse Imprese affinchè rinunciassero alla loro gestione finanziaria autonoma e lasciassero alle banche tale incombenza. Così in pochi lustri hanno eliminato la concorrenza e fatto diventare il povero imprenditore un loro succubo dipendente.
Dopo questa premessa, scusatemene la lunghezza, è arrivato il momento delle verità. Proprio il default creato dalle stesse loro guerre intestine ha determinato il crollo del castello di carta (moneta) che avevano generato e che oramai hanno difficoltà a smerciare, visto i tesoretti accumulati con l'acquisto dei debiti Sovrani europei incominciano a traballare ovunque.
Purtroppo al cittadino e all'Impresa vengono a mancare gli strumenti finanziari che hanno sin'ora garantito la circolazione dei beni e dei servizi, bisogna quindi in mancanza di nuove soluzioni che pare nessuno riesce a trovare, tornare indietro e riprodurre i vecchi modelli fondati sui titoli di debito/credito tradizionali, come la cambiale e la tratta, magari aggiornati in sistema elettronico di riconoscimento di debito asseverato e controllato.
Dobbiamo riportare l'economia nella sfera degli individui e dei loro patrimoni e lasciar che siano loro a decidere il flusso della propria ricchezza e il credito da concedersi reciprocamente, magari con uno strumento come il CRIF che sia di pubblico dominio e controllato severamente.
Trovo quello della moneta virtuale locale uno strumento poco flessibile e difficilmente sostenibile, in quanto non poggia il suo valore intrinseco su una solida realtà patrimoniale e quindi non offre quegli elementi di garanzia necessari ad una diffusa accettazione e circolabilità. Ammenochè non venga sostenuto da un deposito bancario equivalente per ogni nuova emissione. Ma a questo punto non si risolverebbe il problema quantitativo di valuta circolante anche se non sarebbe male per azzerare il fattore speculativo delle banche.
Diverso sarebbe invece se lo si inquadrasse come un titolo di credito virtuale circolante che agganciato ad una unità di conto garantita, non necessariamente l'Euro, venga sottoscritto da una buona massa di Imprese e consumatori. Immaginiamo un qualcosa come un circuito Paypal privato e senza lucro.
Giorni fa ho sentito il nuovo Ministro all'economia Corrado Passera rispondere alla protesta contro le banche " Siete voi cittadini che avete bisogno delle banche e non loro di voi". Benissimo, facciamogli vedere che si sbaglia di grosso. Approfondiamo ancora queste soluzioni e più siamo a farlo prima risolveremo le illusioni del banchiere Passera e rimetteremo in corsa il nostro Paese.