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«Noi, nel cappio della crisi». Batzella (Gialeto): non ho ceduto alla disperazione

di Davide Batzella Letto 2.785 volte1

Imprese edili, falegnamerie, marmisti, e altri artigiani: a Serramanna la crisi finanziaria allunga un’ombra scura sul futuro delle imprese. Chi riesce a non chiudere è costretto a licenziare e l’emorragia di posti di lavoro sta portando decine di famiglie alla disperazione. Dieci giorni fa la tragedia di Alberto Tocco, l’operaio 47 enne che si è tolto la vita dopo essere stato licenziato. Un dramma che ha scosso tutti anche perché, a girare fra le aziende artigiane si scopre che il caso del povero operaio non è tanto isolato.

EDILIZIA FERMA «L’edilizia è in stallo: si costruiscono sempre meno case», è il grido d’allarme di Gianfranco Pilloni, imprenditore del settore lapideo (marmi) che descrive il circolo vizioso della crisi: «Se non gira l’edilizia si ferma tutto: falegnami, marmisti, elettricisti, rivenditori di materiali edili». Nella sua azienda (Idea Marmi) dava lavoro a quattro operai. «Qualche tempo fa sono stato costretto a licenziarne uno», commenta Pilloni, colpito dalla tragedia di Alberto Tocco («non ci ho dormito») e che attribuisce anche alla stretta delle tasse la crisi delle aziende. «Ci stanno succhiando il sangue, nell’ultimo anno ho pagato in tasse tutto quello che ho guadagnato».

STATO CRUDELE «Lo Stato è diventato il nostro socio: noi lavoriamo e lui ci tartassa», conferma Giuseppe Putzolu, 40 anni, che col fratello Vinicio e un altro socio (Giovanni Farci) tira avanti a fatica l’impresa artigiana, la FP Rifiniture edili. «La crisi e tale che la gente ha paura di investire anche se ha qualche risparmio da parte perché pensa: e se resto senza lavoro?». Prudenza, insomma, ma è più paura per un futuro che appare quanto mai incerto. Come ha avuto modo di provare sulla propria pelle Paolo Batzella, titolare della storica cartolibreria Il Pennino. «Dopo trent’anni sono stato costretto a chiudere la mia attività ed è come se mi fosse crollato il mondo addosso», dice l’imprenditore che confessa di «attraversare il periodo più difficile della mia vita». Senza pensione («ho 61 anni e 37 di contributi»), dirigente storico della Gialeto, si sente «un esodato del commercio». L’aiuto e la vicinanza di qualche amico sincero lo ha trattenuto dal «lasciarsi andare alla disperazione». Quella che non ha saputo vincere Alberto Tocco, morto suicida dieci giorni fa.

BUROCRAZIA Fra le aziende che chiudono, e i licenziamenti, c’è anche chi combatte una battaglia radicalmente opposta. «Dovevo fare quattro assunzioni nella mia tipografia ma ho dovuto desistere perché il Comune mi ha fatto demolire la struttura nella quale avrei dovuto sistemare la rotativa per la stampa di un giornale», protesta Bruno Serci, titolare della Grafiche Serci. Quattro mancate assunzioni equivalgono a quattro licenziamenti: ecco il punto. «Per soddisfare questa nuova commessa avremmo dovuto turnare anche di notte», dice Serci.

I. Pillosu – L’Unione Sarda del 21/04/2013

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Commenti (1)

  1. Il ragionamento di Serci è quindi: il comune dovrebbe lasciarmi libero di compiere gli abusi che voglio? Ma che ragionamento è? Poi ci lamentiamo dei condoni da quelli edilizi a quelli fiscali (vedasi scudo).

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