“Pigau de Ogu”: credenze, superstizioni e riti raccontati da Tzia Maria di Serramanna
di 13 Settembre 2013 11:31 Letto 45.751 volte9
È risaputo che a Serramanna l’invidia e la gelosia sono di casa, sarà per questo che “sa mexina de s’ogu” è tutt’ora pratica diffusa nel paese e parecchie sono le persone che ancora la praticano.
Secondo la tradizione pare che talune persone siano in grado, perlopiù involontariamente, con il semplice sguardo di “infliggere” il malocchio su un’altra persona; i sintomi del malocchio si verificano sia a livello fisico, con mal di testa frequenti senza che ve ne sia causa patologica, cattivo umore e sintomatologia depressiva, che cagionare avvenimenti negativi, spesso all’interno della famiglia del colpito, come ad esempio un inspiegabile abbandono da parte del partner, un guasto all’auto o altri accadimenti di estrema gravità.
Nella tradizione e nella credenza popolare, esistono svariati metodi per proteggersi dal malocchio, ma è opinione diffusa che per debellarlo si debba necessariamente ricorrere a dei riti specifici. Così come pare sia la donna ad esserne prevalentemente vittima, è lei stessa l’unica capace di lanciarne di molto potenti; altrettanto i riti per scacciarlo vengono tramandati soltanto per linea femminile, infatti, solo la donna è l’unica depositaria del segreto della formula e a lei soltanto spetta esercitare il rito. Per diventare guaritori è fondamentale essere riconosciuti “persone adatte”.
A Serramanna, come detto, esistono tutt’oggi parecchie donne che praticano “sa mexina de s’ogu” e ho voluto interpellarne una; la chiamerò Tzia Maria. Preferisce rimanere anonima perché va tutti i giorni in Chiesa, ma sa che non dovrebbe fare queste cose (la Chiesa non approva queste pratiche n.d.a.) e altrimenti “su praidi mi faidi sa ramanzina e no mi onada sa Comunioi”.
Tzia Maria, mi vuole parlare di questa pratica? Per prima cosa, come si riconosce chi ha il potere di lanciare il malocchio?
Si riconoscono perché hanno “s’ogue crabittu“, cioè la pupilla più grande del normale, e sono persone invidiose e gelose della salute, del benessere e della buona sorte degli altri, ma il più delle volte “chini pigada de ogu”, lo fa senza rendersene conto, sempre però, coltivando sentimenti cattivi. “S’ogumau” può essere capace di colpire anche gli animali, le piante, la frutta, gli ortaggi, su tutto ciò che vive; qualcuno dice che possa riguardare anche il cibo, nel senso che la sua preparazione può andare a male, soprattutto riguardo le torte, che non lievitano, etc..
E quando ci si accorge di essere “pigausu de ogu” e ci si rivolge a lei, cosa succede?
Dico i “brebusu”, che sono preghiere come il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Credo; uso il grano, l’acqua, il sale e l’olio. Per ottenere la guarigione sicura, devo ripetere il rito almeno tre volte; a volte ho dovuto ripeterlo anche nove volte. Una volta, per una bambina, ho dovuto chiedere l’aiuto di altre due signore. Per i casi più gravi bisogna farlo in tre.
La persona colpita deve venire da lei?
No. Posso recitare i “brebusu” anche distanza e senza vedere la persona colpita; è però necessario portarmi qualcosa che le appartenga , a meno che non sia una persona di famiglia o che conosco bene e allora non c’è bisogno di nessun oggetto personale. Solitamente devo sapere dove sta la persona e recitare rivolgendomi nella direzione in cui lei abita. Oppure faccio portare alla persona malata una bottiglia d’acqua “abrebada”per fargliela bere.
La “medicina” si deve ripetere tre volte per tre giorni di seguito
Quando termino la “medicina”, chiedo sempre “torramì risposta sia in beni che in mabi“, perché devo sapere se la persona malata è guarita, altrimenti devo ripetere il tutto perché il malocchio è molto vecchio o è molto potente.
Oltre alle preghiere, esegue qualche rito particolare?
Certo. Utilizzo un bicchiere d’acqua; ci metto una manciata “de trigu” (chicchi di grano), e dopo aver chiesto il nome della persona malata recito il Credo. Se davvero la persona è “pigada de ogu”, i chicchi di grano “si ndìpesanta e faidi bulluccasa” (sale in superficie e si formano delle bollicine sulla sua superficie); se il maleficio è molto forte le bollicine “zaccarranta” (scoppiettano).
A lei chi ha insegnato queste cose? E a chi le tramanderà?
Solitamente “il passaggio” si fa la notte di Natale. A me lo insegnò una zia, ma per essere più efficace deve essere tramandato da una mamma ad una figlia primogenita, ma io ero la seconda (ride n.d.a.). La persona che la fa’ la può insegnare solo a tre persone, e che siano più piccole di lei; quando la insegni ad un’altra persona, tu non la può più fare. Non funzionerebbe.
Non basta conoscere solo le preghiere quindi?
(ride n.d.a.) Sarebbe troppo semplice così. Bisogna soprattutto credere; sia chi lo pratica che chi lo riceve “sinuncasa no srebidi a nudda” (ride n.d.a.).
Diceva che capita di avere a che fare con malefici molto potenti…
Quando “sa pigada de ogu” è molto pesante, “de su dimoniu”, e i “brebusu” di una donna da sola non bastano, e vedi la persona, o capita spesso per i bambini piccoli, “arrendia”, bisogna chiamare altre due “guaritrici”. Ci vogliono le tre parti: la medicina fatta con il grano, quella fatta con i sassi e quella fatta con l’olio, “a mei, scetti una mi n’danti imparau” (ride n.d.a).
Le tre donne si riuniscono in una stessa stanza col malato (nei casi gravi non è possibile farlo a distanza) e devono dire i “brebusu” comuni, e poi ognuna recita i suoi, che sono segreti (ognuna conosce i suoi n.d.a.); bisogna dirli a voce bassissima per non farli sapere alle altre, e ognuna fa i suoi riti però tutte e tre dobbiamo sputare sul malato, per tre volte consecutive. Se anche solo una delle tre non è “brava” il malocchio non andrà via.
Quindi “sa mexina de s’ogu” non è un segreto-segreto, o meglio delle parti sono “comuni”?
Diciamo di si. Almeno io credo così (si alza, prende delle cose dalla credenza e torna a sedersi al tavolo, di fronte a me). “Castia a mei”:
Prende un bicchiere, lo riempie d’acqua, e mette in successione, alternando per tre volte, un grano di sale grosso e un chicco di grano. Ripete (rigorosamente in sardo)questa “invocazione” (ho provato a trascriverla):
«Gesucristu Santu adinau una cosa,
chi ti pongiu una manu in fronti,
manuin fronti e in conca,
po chi no timmastacusta notti,
caandausu de Santu Juanni,
e dunaradaDeusu, ca su mellususeudeu,
su mellusubattiau,
a s’ogu sa luxi torridi
Custamexina de s’ogu d’appu fatta po (e si narada su nomini)»
Poi, bisogna buttare via l’acqua del bicchiere, sul muro, con le spalle girate, (nel muro non passano né gatti né uccelli né altri esseri viventi e quindi va bene perché così il malocchio non può più fare del male a nessuno.
“T’appunau tottu su chi sciu, immui lassamì andai ch’è sonendipo sa Missa”, dice cordialmente Tzia Maria col sorriso sulle labbra.
Ammetto di non aver mai creduto a queste cose, ma conoscere questa persona mi ha fatto piacere e mi ha riportato alla notte dei tempi col suo carico di fascino arcaico custode delle tradizioni e dei riti magici che hanno il sapore dei racconti e delle superstizioni dei nostri avi.
manuela orrù 13 Settembre 2013 alle 20:13
Mi sono sentita chiedere, qualche volta, se credevo nella mexina de ogu ed ho sempre risposto che se bene non faceva di sicuro non faceva male. Da bambina sono stata una paziente della bon’anima di tzia Marietta Lilliu, che con le sue preghiere, oggi so essere brebusu, riusciva a farmi passare un mal di testa che non mi faceva sollevare la testa dal cuscino. Di solito questo mi capitava quando andavo a trovare i miei nonni a Oristano. L’ultima volta che feci la mexina fu proprio a Oristano: probabilmente intossicata dai chili di fichi che mio nonno mi fece mangiare, mi venne la febbre e stavo così male che mia nonna mi portò dalla sua vicina, tzia Peppa,e so solo che dopo stetti bene.Dietro queste preghiere c’è una conoscenza che abbiamo dimenticato, nell’era del metodo scientifico quello che non si può spiegare con una dimostrazione è non credibile. A me piace credere invece che c’è una conoscenza che ha aiutato i nostri progenitori, che ha reso più umano il rapporto con le divinità. Infine mi piace sottolineare che sa mexina de ogu è una conoscenza femminile, che si tramanda da donna a donna.
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Paolo Casti 14 Settembre 2013 alle 14:27
piccolo appunto e approfondimento;
oggi leggevo su http://www.contusu.it/
“Il termine sardo per parola è fueddu, allega, peraula, ma brebu ha un significato decisamente più forte e significa “verbo”, cioè parola attiva, parola che genera cose, che produce effetti.
Probabilmente la definizione di brebu per lo scongiuro è dovuta all’avvento del cattolicesimo, ma le origini delle magiche parole sarde non lo sono di certo ed infatti i sardi distinguevano attentamente tra brebus e preghiere.
Nella maggior parte dei casi i brebus andavano, – e vanno ancora – recitati all’interno di un ben articolato rituale, composto da parti, molte di chiara influenza cattolica e altre di origine assolutamente pagana.
E’ interessante notare come anche nei brebus dove vengono nominati Dio e i santi, questi vengono interpretati abbastanza liberamente e Dio viene concepito come una delle tante entità che popolano l’universo sardo.
Esiste la credenza che i brebus devono essere tramandati da anziano a giovane: chi cede “la parola” perde la facoltà terapeutica e miracolosa che passa così a colui che la riceve. Si narra che esistevano persone che possedevano anche 50, 60 brebus.
Un’altra regola relativa all’efficacia del “verbo” sancisce che è assolutamente proibito ricevere un compenso di qualsiasi natura per l’esecuzione di un brebu perchè ciò ne vanificherebbe gli effetti”
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valeria 14 Settembre 2013 alle 16:01
bè..leggere queste ” tradizioni di magia bianca” suscita molta curiosità …fermo detto che chi è molto religioso non le pratica assolutamente….”non avrai altro Dio all infuori di me”…………solo DIO sarà il tuo guaritore……certo che la cattiveria è tanta , e la paura di essa ci porta a credere che qualcosa di piu potente fatto da mani vive che vedi….con preghiere possa distruggere sogu malu .mà…..cerchiamo di distribuirci piu bene tra di noi che già la vita è difficile per tutti!!!;))))))
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Dino Caboni 41 16 Settembre 2013 alle 17:57
Paolo…La “trascrizione” che hai fatto credo sia molto fedele, e concordo con te nel dare il significato di “verbo” al “termine” sardo della parola “Brebu …
A rafforzare la mia convinzione, sono le parole con cui comincia “l’invocazione” di Zia Maria…
Gesucristu Santu …ADINAU,è (per come la vedo anche io)quindi…Parola Divina.
Non si può certo negare poi,che il fascino, su argomenti che hanno a che fare con i nostri avi,non coinvolga un po’ tutti,e piacevolmente, hai coinvolto ancora,anche mè !!
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Giorgio Zaffaroni via Facebook 28 Settembre 2013 alle 10:35
ho qualche riverbero di memoria su vecchi racconti di mia nonna ma….. sono passati proprio troppi anni… 🙂
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Victor Tuv via Facebook 28 Settembre 2013 alle 10:41
Be comunque sia sono cose che funzionavano
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