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Memoria del Vuoto – Marcello Fois

di Samuele Pinna Letto 3.321 volte0

di Manuela Orrù

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“E ora dammi le parole”. Con questa invocazione, mi piace pensare ad una musa indigena, del narratore per l’impresa che si accinge a compiere, inizia questo bellissimo e ammaliante libro: raccontare la vita e le molte morti di Samuele Stocchino (con due c), bandito ogliastrino spietato e leggendario, in una Sardegna di inizio “900 immersa nella sua natura selvaggia e avvolgente, ammantata dal senso di magia del destino degli uomini, misera ed essenziale nella quotidianità dei protagonisti.

Il racconto si snoda sui dati storici riguardanti Stocchino e i fatti romanzati, non provabili ma che arricchiscono la vicenda rendendo la lettura del romanzo avvincente e appassionante.

Samuele Stocchino è, in primis, un bambino non desiderato, una bocca in più da sfamare per la famiglia; sarà poi accolto e amato con quel senso di fatalità di chi non ha alternative: ‘..non volere quello che vorresti, ma cerca di volere quello che ti è stato assegnato.’ A due anni il bambino rivela con uno sguardo, ad una donna che c’ha il dono di vedere dentro al petto delle persone, la forma del suo cuore: cuore a forma di testa di lupo, spigoloso come quello degli assassini. Samuele cresce, parte volontario a 16 anni per la campagna di Libia, dove impara ad uccidere per non essere ucciso e a vedere morire, conoscenza che perfezionerà con la Grande Guerra fino a portarlo ad una familiarità con la morte che porta l’autore a scrivere che “quello che fa paura di lui è che nemmeno la morte lo vuole veramente e lo rimanda indietro”.

Congedato, nel 1918 fa ritorno al suo paese da eroe pluridecorato, ma la sua non è una vita facile e non scivola via come l’acqua ma si addensa, come l’olio nero bruciato. Eppure in quegli anni conosce l’amore di Mariangela, che sola pare dargli pace in cui perdersi, dimenticare un destino che è scritto nel passato, radicato nella terra stessa, nel buio di un cuore con la forma sbagliata. Una notte di gennaio del 1920, notte di luna gelida e luminosa, si compirà il suo destino di fuorilegge assassino: l’eccidio di quella notte sarà il primo di una lunga serie di delitti.

La trama del racconto fluisce, mai banale o scontata, ma intensa, con sfumature tragiche e liriche che nascono quasi dalla terra, dal fondo delle caverne ogliastrine, solo luogo dove Samuele trova la pace come in un utero materno. Col passare degli anni la sua fama di bandito imprendibile cresce e con lei cresce la solitudine dell’uomo, che finisce per trovarsi solo, senza oasi di affetti che soli consolano anche gli spiriti più rocciosi.

Così la parabola umana di Samuele Stocchino precipita verso la fine.

Ed è in una delle ultime pagine che l’autore mette il suo personaggio davanti ad una verità pesantissima: “Lì, dentro a quella memoria del vuoto, quando tutto sembra che sarà e invece è già stato, Samuele Stocchino riuscì a piangere. E il cacciatore si sentì improvvisamente predato da un senso fatale di inutilità”. Lui, da sempre predatore col cuore a forma di testa di lupo, diventa preda di una sensazione di inutilità, inutile anche essa ora che la morte sta arrivando per prenderlo.

E la memoria del vuoto è quel vuoto che si sarebbe potuto riempire, è il potenziale di un uomo che, prigioniero del suo cuore, non riuscirà a creare se non una leggenda scritta col sangue e il dolore di vittime e carnefici.
Questo è un libro che non si può dimenticare, per me una lettura fatale e irresistibile che me lo ha fatto divorare in tre notti, che mi ha trasportato in un mondo che non ho conosciuto ma che ho sentito mio. Una scrittura limpida, quasi epica, trascina il lettore in un vortice carico di personaggi indimenticabili, percorsa dai palpiti della terra, una Sardegna lunare e boscosa, isola di uomini e donne che legano il loro destino ad una memoria arcaica di sangue e morte, miserie e solitudini difficili da abbandonare, impossibili da ignorare.

Manuela Orrù

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