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Il leone “sfacciato” di Serramanna

di Samuele Pinna Letto 2.435 volte0

di Maria Porceddu Ortu
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Foto di Manuela Ortu

Povero leone! mi dico ogni volta che lo vedo, in chiesa, a guardia del Santissimo Sacramento. Il mio, è un grido d’allarme per il degrado prevedibile che pian piano ne decreterà la fine. Ma, preciso subito: il leone di cui parlo non si aggira nelle nostre strade. È un leone di pietra e, da tempo, convive con la sua minorazione fisica, alla base di una colonna, nella cappella del Santissimo Sacramento, in “San Leonardo”. Il povero leone ha perso la faccia, forse consumata dalla mano delle donne devote che, per genuflettersi senza rischiare di perdere l’equilibrio, la appoggiano sul suo viso ospitale.

Ma, oltre al degrado di vecchia data, ora rischia di perdere anche le zampe anteriori! E che ne sarà, poi, della colonna che, orgogliosamente, ha sorretto nel corso dei secoli?
Il mio grido d’allarme è rivolto ad un coraggioso “ortopedico” che, magari “gratis et amore Dei” (e con le autorizzazioni del caso), possa e sappia prevenire l’ennesima mutilazione ai nostri beni culturali. Non sono molti quelli che abbiamo, ma sono pur sempre memorie di un prestigioso passato, quando i campanili, le cupole, le statue e le “pietre” parlavano di Storia e di Ingegno, di Comunità culturalmente avanzate, desiderose di lasciare ai posteri i segni del proprio passaggio.

Dunque, chi può fare qualcosa per il nostro povero leone? Sicuramente il Parroco di San Leonardo, se già non lo avesse fatto (informandone chi di dovere) ma tutti sappiamo bene che “repetita juvant”. Senz’altro l’Amministrazione Comunale, che ha il compito di curare e proteggere il nostro patrimonio comune. Gli studiosi e i cultori dell’arte che, per professione o per passione, se ne nutrono quotidianamente. Anche noi cittadini abbiamo le nostre responsabilità, soprattutto coloro che frequentano quel luogo di culto e vedono…
Il benessere culturale non è un “optional” ma una necessità vitale. Lo hanno ben compreso quei fanatici che, nel mondo orientale, vanno distruggendo e cancellando le vestigia del passato dei loro nemici. Perché mai? Le “pietre” parlano…

Anche noi, a Serramanna, non siamo da meno. Se c’è qualcosa da buttar giù (le case “antiche” del centro storico) o da modificare (in peggio, spesso: vedi il colore, orribile in quel contesto, del muro esterno di un edificio in Piazza Gramsci e la porta, fino a poco tempo addietro finestra, aperta sulla piazza), tutto questo avviene in men che non si dica. Perché? Eppure è evidente anche per chi avesse scarsa capacità di orientamento artistico e cromatico: chi passa di lì, riceve un pugno in due occhi!!!
Ma io non sono pessimista e mi piace ricordare il “fare” più che il “distruggere” dei Serramannesi di buona volontà. Perciò ricordo questo avvenimento. Era il tempo (non tanto lontano) in cui il TG 2 della RAI-TV promosse una campagna in difesa del patrimonio artistico bisognoso di restauri che nessuno poteva garantire per scarsità di finanziamenti. Si intitolava “C’è da salvare”. Un gruppo di giovani serramannesi, capeggiati da un promettente artista locale, inviò un elenco di opere, accompagnate da esaurienti relazioni e da foto. Era l’anno 1979. La prima ad essere salvata fu la statua lignea dell’Angelo Custode, che ora si trova nel Museo d’Arte Sacra di Piazza Sant’Angelo.

Mi auguro fortemente che l’Angelo, memore di quel salvataggio “in extremis” (i tarli erano arrivati a buon punto nel loro lavoro distruttivo), si ricordi dei Serramannesi e delle loro necessità.
Ma, tornando al nostro povero leone, c’è già chi ha pensato bene di utilizzare la sua frattura come ricettacolo di rifiuti. Che cornice indecorosa per la sacralità del luogo!

Maria Porceddu Ortu

Serramanna, 5 ottobre 2015

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Foto di Manuela Ortu
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Foto di Manuela Ortu
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