Noi giovani, più o meno adulti, cresciuti a “pane e don Cara”
di 16 Ottobre 2016 23:02 Letto 5.767 volte1
Erano i primi anni novanta quando nella parrocchia di S. Leonardo arrivò un nuovo parroco che sin da principio si rivelò per quello che era davvero; senza maschere e senza mezze misure rivoluzionò un po’ tutto prendendosi al contempo le responsabilità dei tanti cambiamenti e senza timore andò fino in fondo. Una comunità che, forse fino ad allora sonnecchiava, si svegliò e lo seguì. Io poco più che ventenne venni reclutata di botto nel ‘corpo catechisti’. Non c’era da pensarci troppo… don fugò i miei tanti dubbi sulle richieste capacità di catechista chiedendomi se avessi fede e se credessi… il resto sarebbe venuto da se. E così fu; sicuramente grazie anche all’esperienza dei catechisti ‘più maturi’ che mi affiancarono e alla ricchezza dei temi degli incontri che don teneva tra i giovani, svolsi quel servizio per più di dieci anni. Su noi, giovani di allora, faceva presa non solo il suo linguaggio non proprio puritano ma specialmente il suo senso pratico oltre al senso del servizio che pretendeva da tutti, ribaltando qualche volta ad hoc i ruoli ormai fossilizzati che qualcuno pretendeva acquisiti di diritto. Questo, mi rendo conto, è davvero riduttivo ma è ciò che mi è balenato appena ho rivisto don sull’altare che concelebrava al funerale di Paolo. Ho pensato che se sono quella che sono e anche grazie a lui. E anche ieri, nelle sue poche parole ho scorto immutate le sue idee. Lui che, con voce roca, ha detto di portarci sempre nel cuore, si è rivelato sacerdote e allo stesso tempo un semplice uomo con le sue preferenze, i ‘favoritismi’ li ha definiti, che giustificavano la sua presenza in quella così triste occasione. Un sacerdote in quanto uomo non ha forse diritto di avere degli amici più intimi, delle persone con cui lega per sintonia di carattere o di interessi? Quando poi, dopo un saluto fugace, mi ha chiesto di me e mi ha detto che “almeno una cosa buona nella vita l’hai fatta”, riferendosi alla circostanza che nel frattempo fossi diventata mamma, ho pensato che niente di lui era mutato… solo qualche capello in meno e qualche chiletto in più… perché colpiva ancora dritto nel segno. Grazie di cuore don.
Giuliana Pau, ex parrocchiana di San Leonardo.
Alessandro F. 18 Ottobre 2016 alle 21:44
Don Cara è stato, quando era a Serramanna, un uomo in mezzo agli uomini; per noi ragazzi quindicenni, alcuni un po’ ribelli, era un secondo padre. Non ti mandava a dire certe cose. Ha ricevuto anche molte critiche, forse perchè non vestiva gli abiti ufficiali, fuori dalla chiesa, forse perchè fumava, forse perchè si avvicinava agli avventori dei vicini bar. Le critiche, a mio avviso, hanno le gambe corte. Come le bugie.
Ci siamo rivisti un annetto fa in un contesto un po’ delicato: è bastato uno sguardo per riconoscerci, anche a distanza di quindici anni. Abbiamo trovato entrambi cinque minuti per scambiare due parole.
Per questo motivo, visto anche ciò che scrive l’autrice dell’articolo, a Don Giampiero dico semplicemente un doveroso “grazie”.
Con affetto.
af
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