“Quasi Grazia”, spettacolo teatrale di Marcello Fois: recensione
di 23 Ottobre 2017 19:40 Letto 4.753 volte1
di Manuela Orrù
Il 20/21/22 ottobre si è rappresentata al Teatro Massimo di Cagliari la piece teatrale tratta dal libro di Marcello Fois “Quasi Grazia”, testo dell’autore nuorese che rende così onore e omaggio alla sua grande concittadina e alla scrittrice che lui stesso definisce “…la Grande Madre con cui tutti gli scrittori sardi, prima o poi, devono fare i conti”.
Assistere allo spettacolo non è stato facile. Travolta dalla mia quotidianità mi sono ricordata dello spettacolo solo la domenica mattina, online i posti risultavano esauriti, ma non mi sono persa d’animo, pensando che su circa 600 posti ci sarà pure stato qualcuno che avrebbe rinunciato! Con questa speranza siamo arrivati un’ora prima dell’inizio e la lista d’attesa per i biglietti risultava già lunga quasi due pagine… Con le speranze quasi azzerate mi sono posta in attesa. Alle 19, al suono della seconda campanella, si sono chiuse le biglietterie per chi aveva prenotato e si sono aperte per noi irriducibili e tenaci della Lista d’Attesa. Così, tra gli ultimi quindici posti del loggione, quelli più in alto e lontani dal palcoscenico, siamo stati chiamati e i biglietti erano nelle mie mani! Presto che lo spettacolo sta iniziando! Eccoci seduti, direi quasi in piccionaia, ma ci sono, posso vedere, anche se da lontano, e soprattutto posso ascoltare…
Michela Murgia, nelle vesti giallo canarino, è Grazia Deledda; Lia Careddu, nel vestito nero tradizionale delle donne sarde dell’800, in contrapposizione non solo scenografica col vestito della figlia, è la madre; Valentino Mannias è il fratello di Grazia, Andrea; Marco Brinzi è Palmiro Madesani, marito di Grazia e unico continentale nel gruppo attori.
L’atto unico della piece teatrale è diviso in tre momenti, cruciali, della vita della Deledda.
Ogni momento è introdotto da uno stacco musicale che ti entra nella pancia e rimuove sedimenti ancestrali, un ritmo di tamburo forte e potente che scandisce e accompagna i mutamenti di scena e i momenti di vita deleddiani. Bravissimo Frantziscu Arrogalla nel riuscire con quel Tam Tam ossessivo e quasi ipnotico a traghettarci con le onde sonore da un episodio ad un altro.

Il primo momento è quello della partenza di Grazia da Nuoro e dalla Sardegna, per il continente così a lungo agognato. E’ il tempo del distacco del cordone ombelicale, si recide il legame con la terra natia e si esercita uno strappo doloroso con la famiglia. L’impazienza e l’insofferenza della Deledda sono ben espresse da Michela Murgia. Ma in questo tempo emerge anche la figura della madre, granitica e incapace di capire la figlia, che dopo un aspro scambio di parole con Grazia, in un momento di sua assenza, mette nel baule da viaggio il vestito sardo eredità di una zia, che la Deledda non voleva portare con sé. Questo l’ho trovato un gesto profondo, il tentativo della madre di dare a Grazia un filo conduttore, un legame con la gente da cui lei stessa veniva. Per Lia Careddu in questo ruolo i complimenti non saranno mai abbastanza.
Valentino Mannias, nel ruolo di Andrea Deledda prima, in quello del giornalista svedese che intervista Grazia e infine nel giovane medico che dà la diagnosi di tumore alla scrittrice, dimostra tutta la sua frizzante ed energica eccletticità, un’ironia dissacrante anche nel ruolo drammatico e una presenza scenica che è impossibile ignorare.
Il secondo momento è quello della consegna del premio a Stoccolma, Grazia si trova in albergo col marito e aspetta il giornalista svedese che deve intervistarla. Anche in questo frangente si ripresenta nel sogno la figura materna, forse emblema di un riconoscimento di valore mai avuto, non solo dalla famiglia ma da un’intera isola.
Il terzo momento è forse il più debole e meno coinvolgente, è quello in cui alla Deledda viene diagnosticata la metastasi e dunque l’imminenza della morte. Forse perché quello che ci impressiona di questa donna è la sua vita, una vita che le ha concesso l’immortalità nelle opere scritte, ancora oggi studiate e lette, anzi forse proprio oggi riscoperte e rivalorizzate da quei corregionali in origine così ostili e critici, spietati nel giudizio verso una donna che non aveva saputo “stare al suo posto”, che aveva osato arrivare a innalzarsi là dove nessun’altra italiana è mai più arrivata.
“Quasi Grazia” mi ha permesso di vivere un’ora di spettacolo coinvolgente e intenso, ho avuto l’impressione di una recitazione corale riuscita, gli attori fluivano sul palco con naturalezza e disinvoltura. L’applauso che li ha salutati alla fine dello spettacolo con spontaneità si è ritmato al suono del Tam Tam che certo era arrivato nel profondo delle nostre viscere.

Sara 24 Ottobre 2017 alle 12:33
Grazie per aver espresso così bene quello che credo il pensiero di molti , certamente il mio. Avevo comprato i biglietti appena sono stati messi in vendita per non rischiare di perdermi lo spettacolo.